Tuesday 6 April 2010

Tamquam semper amaturi amatis (dedicato a chi ama)


Tra le sentenze senecane mi piace ricordare questa: “Tamquam semper victuri vivitis”; l’autore biasima coloro i quali, distratti da futili occupazioni politiche, sentimentali o ludiche, rimandano continuamente il momento di occuparsi del miglioramento di sé, tramite l’approfondimento filosofico. Consento. I moderni studiosi dell’uomo, tuttavia, scorgono, altrettanto correttamente, un aspetto positivo nel non pensare di dover morire; per sintetizzare l’argomentazione: “se gli esseri umani vivessero pensando continuamente che moriranno, sarebbero sempre irrimediabilmente depressi”.

Propongo un pensiero analogo concernente l’amore: “Tamquam semper amaturi amatis”. A differenza del pensiero di cui sopra, in cui ci sono un aspetto negativo e uno positivo, in questo caso c’è solo il lato positivo. Non sarebbe vero amore quello vissuto pensando: “finirà”. La lucidità statistica che si può avere nel riconoscere che i sentimenti si evolvono, cambiano, eventualmente si indeboliscono, unita alla teoria ben difficilmente oppugnabile della monogamia imperfetta, frutto dell’evoluzione, non intaccano la potenza con la quale si possono vivere le emozioni, senza preclusioni e senza ragionamenti. Vivere e studiare la vita sono due cose diverse.

Per di più è anche possibile che l’amore non finisca (o meglio: che finisca con la vita). Se malauguratamente dovesse succedere, se ne esce certo con dolore, ma poi si diventa più forti e si resta con la consapevolezza di aver vissuto veramente, di non aver buttato via il tempo; e qui bisogna proprio dissentire da Seneca: la vita da innamorati regala un sapore che null’altro al mondo può dare; anche se non so com’è vincere una rivoluzione!


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